Personaggi influenti del passato

Tre secoli prima di Lidia Poët, è la tranese Giustina Rocca a pronunciare una sentenza in tribunale

Sarah Avveniente
Sarah Avveniente
Lapide di Cornelia Palagano con iscrizione formulata da Giustina Rocca, conservata nel lapidario del Museo Diocesano di Trani
Lidia Poët si può considerare effettivamente la prima avvocata italiana iscritta all’Ordine. Quello di Giustina fu uno caso isolato, un’eccezione alla regola durata un solo giorno (o forse qualcuno in più). Si dice che la sua personalità avesse ispirato il personaggio shakespeariano di Porzia.
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A fare luce su Lidia Poët ci ha pensato Netflix dedicandole una serie (“La legge di Lidia Poët”). Di lei negli ultimi giorni si é parlato parecchio. Laureatasi in giurisprudenza a Torino nel 1881, fu la prima donna in Italia ad iscriversi all’Ordine degli Avvocati (1893). Ma, come riferì lei stessa in un’intervista dell’epoca, “alle rose spesso seguono le spine”. Non a caso, dopo appena un mese, la Corte d’appello torinese annullò tale iscrizione: la professione forense non era cosa da femmine. Lidia, però, non si arrese e continuò a dedicare la propria vita al diritto, collaborando con il fratello Enrico (avvocato). 

Dovrà aspettare anni e anni per essere considerata ufficialmente un’avvocata: solo nel 1920, a 65 anni compiuti, venne riammessa all’Ordine degli Avvocati. Per prima fra le donne. 

La prima donna, dunque, con l’abilitazione in mano. Ma, a quanto pare, non la prima a sedere in tribunale. Questo è un primato legato al nome di Giustina Rocca, una nobildonna tranese vissuta circa tre secoli prima di Lidia. 

Di lei, per nostra fortuna, ha scritto qualcuno: Cesare Lambertini, uomo di cultura e dallo spirito rinascimentale, giurista tranese che aveva condotto i suoi studi a Bologna, una città dalle larghe veduta dove alle donne era – addirittura -concesso studiare ed insegnare diritto. Ed è forse per questa mentalità frizzante che lo stesso ritenne opportuno documentare, nella sua opera sui diritti di patronato, terminata nel 1533, lo straordinario caso di cui si era resa protagonista la donna tranese (con cui, peraltro, era imparentato): 

Nei nostri tempi vedemmo la magnifica signora Giustina de’ Rocca, da Trani, vedova del magnifico milite Giovanni Antonio Palagano, l’8 aprile dell’anno 1500, pronunciare sentenza arbitrale. Si era nel palazzo del Tribunale del magnifico signor governatore di Trani, Lodovico Cantarini (governatore veneziano). Nel Palazzo dell’Università accorse quasi tutto il popolo per vedere il miracolo di donna sedere al banco del tribunale e proferire, in lingua volgare, la sentenza

“Un miracolo di donna”, appunto, perché vederne una in tribunale doveva essere un evento eccezionale, unico nel suo genere, uno di quelli da far strabuzzare gli occhi.

Gli stereotipi di genere – superfluo a dirsi – imperversavano all’epoca ed era impensabile per una donna esercitare la funzione di giudice. D’altronde, nessuno sano di mente avrebbe mai potuto affidare il ruolo “di arbitro” a creature ritenute per natura impulsive, litigiose, instabili, licenziose, desiderose di contrastare in ogni modo la volontà degli uomini e spendaccione (questo era il profilo femminile tracciato da molte testimonianze scritte).

E allora perché Giustina Rocca fu scelta come giudice in una controversia familiare? Forse per la sua influenza in città, insieme ai suoi nobili natali, ma anche e soprattutto per le sue conoscenze giuridiche. La sua autorità si impose sui tempi e sulle convenzioni sociali, tanto da scavalcarle e riuscire, addirittura, a farsi pagare per l’attività svolta. In sostanza, si fece trattare in tutto e per tutto come un uomo di legge.
È per questo che può essere accostata alle grandi personalità femminili del Rinascimento, una di quelle che ruppero gli schemi, imponendo nuove e “mostruose” realtà.

Lo scandalo non consisteva solo nel vedere una donna-arbitro in tribunale, ma anche nel sentir pronunciare il lodo in lingua volgare. Altra cosa eccezionale per un’epoca dove il latino – la lingua dei dotti – regnava sovrano in situazioni simili. Immaginiamo, allora, lo stupore del popolo che, accorso in aula per vedere “il miracolo di donna”, non riusciva a credere di poter finalmente capire qualcosa della trattazione della causa.

Di quest’ultima, abbiamo detto solo che si trattasse di una controversia familiare. Nulla di meglio, allora, del racconto scritto da uno dei presenti per testimoniare la circostanza dei fatti.

La causa di arbitrato era a lei affidata dai nobili Angelo e Trosolina Rocca, suoi nipoti. Si trattava dell’intera eredità dei propri parenti che erano cugini fra loro. Il valore della lite si aggirava intorno agli ottomila ducati. In massima parte la sentenza fu contraria ad Angelo e, ciò che è più notevole, l’arbitra, proferita la sentenza, fece in modo che la parte soccombente le pagasse la trigesima di compenso dovuta agli arbitri uomini

Scrive questo Cesare Lambertini e conclude la narrazione sottolineando la straordinarietà dell’evento.

Così, l’8 aprile divenne uno di quei giorni eccezionali di cui tutti parlarono e lessero, la cui narrazione arrivò alle orecchie dei più, anno dopo anno, come un’eco ad ampio spettro capace di scavalcare i confini temporali e territoriali.

Si dice che la nobildonna tranese, già prima del 1500, si fosse occupata di delicate questioni diplomatiche fra le città di Trani e Venezia.

Ed è qui subentra un dettaglio curioso: qualche autore crede che la personalità di Giustina abbia ispirato il personaggio di Porzia presente nel “Mercante di Venezia”, la nota opera teatrale di Shakespeare (1596/1598). Quest’ultimo fa travestire l’astuta protagonista da dottor Bellario per discutere la causa di Antonio davanti al Doge di Venezia.

Nell’opera, dunque, Porzia appare scaltra, sapiente, dominatrice e assolutamente a suo agio nel comprendere e discutere le questioni giuridiche, ma è pur sempre un passo indietro rispetto a Giustina. Il personaggio femminile shakespeariano deve travestirsi da uomo perché la società non è pronta ad accettare una donna-avvocato in tribunale, neppure nella finzione. 

Da questo punto di vista, allora, la Trani dell’inizio del Cinquecento e l’opera di Lambertini (che ammetteva le donne al patrocinio legale) erano avanti anni luce. In effetti dovunque in Europa, in quel periodo, le donne erano molto lontane dal mondo del diritto.

Quello di Giustina fu, dunque, un caso isolato, quell’eccezione alla regola che le ha fatto guadagnare il primato mondiale.

Dobbiamo attendere sino al 1777 per vedere la prima donna italiana laureata in giurisprudenza: Maria Pellegrina Amoretti. Ma anche qui parliamo di un caso isolato. Sino al 1875, infatti, per le donne sarà un’impresa ardua entrare nelle università (e comunque essere ammesse agli studi non sempre significava potersi laureare). 

Solo a partire dal 1869, si può iniziare a parlare di avvocate nel senso moderno del termine: iscritte all’Ordine e, quindi, abilitate a svolgere la professione. Arabella Mansfield fu la prima negli Stati Uniti (1869), la russa Olga Petit fu la prima in Francia (1900), seguita da Jenne Chauvin (1907) che si batté a lungo per i diritti delle donne. In Italia, solo nel 1919 fu emanata la legge che consentiva alle donne di esercitare tutte le professioni. Ma, come sappiamo, già nel 1893, Lidia Poët era stata avvocata abilitata per un mese. 

Giustina Rocca, dunque, si può considerare l’antenata per eccellenza di tutte queste donne, una di quelle nate fuori posto (in senso buono): con la mente fin troppo aperta e protesa verso una meta ancora molto lontana. 

L’unica testimonianza da lei scritta, giunta sino a noi, è visibile nel lapidario del Museo Diocesano di Trani e consiste nell’iscrizione funeraria in latino per la figlia Cornelia, morta il 27 gennaio 1492 quando “la sua età non aveva ancora visto i vent’anni”. 

A lei, sul finire degli anni 70’ e gli inizi degli anni 80’, è stata intitolata la scuola secondaria di 1º grado sita in via Tasselgardo, grazie all’idea degli studenti di una classe terza dell’epoca, chiamati a partecipare ad un concorso interno per cercare un nuovo nome da attribuire alla loro scuola (prima conosciuta come IV Gruppo).

Per concludere, nel 2022 le è stata dedicata anche la torre più alta della Corte di giustizia  dell’Unione Europea. Un omaggio alle donne, che come Rocca, hanno lottato per essere trattate al pari degli uomini.

domenica 19 Febbraio 2023

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