Il compenso dell’amministratore giudiziario: criticità e soluzioni

Ad Maiora
L'intervista a Domenico Posca, dottore commercialista e revisore legale
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L’attuazione delle modalità di calcolo e di liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari dei beni sottoposti a misure reali di prevenzione ha, in questi primi anni, fatto emergere molteplici difficoltà interpretative. Abbiamo approfondito l'argomento con Domenico Posca, dottore commercialista e revisore legale, autore de "Il compenso dell'amministratore giudiziario di beni e aziende sequestrate" edito dalla casa editrice di Trani Ad Maiora.

Dott. Posca, quale l'obiettivo della sua ultima pubblicazione?

Con il testo sul compenso dell’amministratore giudiziario non ci si limita a evidenziare le criticità applicative della tariffa delineata dal Dpr 177 del 2015, ma si vuole fornire un contributo, anche operativo, alla soluzione dei problemi interpretativi con i quali sono chiamati a confrontarsi tutte le parti in causa: amministratori, organi liquidanti, giudici, avvocati delle parti e controllori. Attenendosi alla stretta applicazione della legge e dei suoi principi ispiratori. Si tratta di tariffe elaborate su un presupposto, a detta di molti commentatori, particolarmente inopportuno: aver equiparato le finalità gestorie dei sequestri con quelle liquidatorie delle curatele fallimentari. Come si possono far coincidere attività tanto diverse? Dalla lettura della relazione di accompagnamento del provvedimento licenziato dall’esecutivo, i dubbi sollevati da amministratori, magistrati, Consiglio di Stato e giuristi sono divenuti certezze. Chi ha scritto queste tariffe non conosceva a pieno la realtà della gestione dei beni e delle aziende sequestrate. Nonostante la puntuale indicazione da parte del legislatore ordinario delle norme di principio in base alle quali adottare il regolamento, il Governo ha, evidentemente, ecceduto i limiti fissati dalla normativa sovraordinata e ha introdotto delle disposizioni non ricomprese tra i principi generali della materia.

La tariffa che regola i compensi degli amministratori giudiziari di beni e aziende sequestrate, introdotta con il d.p.r. n. 177/15, ha evidenziato numerose criticità emerse nei primi anni di applicazione. Quali le maggiori problematiche applicative evidenziate?

I provvedimenti di liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari resi in sede giurisdizionale in questi primi anni di vigenza del DPR 177/15 sono stati caratterizzati dalle notevoli incertezze interpretative del provvedimento. Incertezze derivanti dall’errato presupposto che l’attività svolta dagli amministratori giudiziari presenti “significative analogie con quella dei curatori fallimentari e che pertanto è opportuno, ai fini della liquidazione del compenso, adottare criteri omogenei a quelli previsti in materia di procedure concorsuali”. I principi e i criteri direttivi fissati dalla fonte primaria con l’art. 8 D.lgs. n. 14/2010, entro i quali l’azione del Governo avrebbe dovuto esercitarsi, nulla prevedevano quanto ad una presunta equiparazione tra l’operato dell’amministratore giudiziario e quello dei curatori fallimentari. Le principali criticità riguardano l’individuazione della corretta base di calcolo nel caso di aziende per le quali la legge delega individua il valore dei beni costituenti l’attivo mentre il regolamento fa riferimento al patrimonio netto. La distinzione in masse nei casi in cui vi sono di mezzo aziende che, in base ai principi generali, non possono che costituire masse singole, a prescindere dal numero di soggetti destinatari del provvedimento ablativo. L’individuazione della gestione più onerosa non riferibile a quella di maggior valore, bensì a quella più complessa. La durata cui parametrare il compenso, atteso che la tariffa fa esplicito riferimento ai sequestri disposti in base alle misure di prevenzione che, fino alla riforma operata dalla legge 161/2017, era di trenta mesi, mentre le altre tipologie di sequestro penale regolate dalla tariffa in commento hanno durate ben maggiori, fino a oltre dieci anni. In quasi tutti i provvedimenti di liquidazione finora adottati in base alla nuova tariffa ognuno dei punti controversi è stato interpretato dalla giurisdizione in peius per gli amministratori, dando luogo a liquidazioni assolutamente inadatte, incongruenti e contrarie a ogni principio di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro prestato.

Quale la differenza fra il ruolo dell'amministratore e del curatore fallimentare?

Il curatore fallimentare interviene per liquidare i beni di una azienda fallita, all’esito della dichiarazione di fallimento del Tribunale. Interviene su un’azienda ”morta” per ricavare il massimo utile dalla liquidazione dei beni rimasti in proprietà. Il curatore fallimentare è un mero ausiliario del Giudice delegato e opera sempre sotto la direzione di quest’ultimo e nei limiti dei provvedimenti autorizzativi dallo stesso emessi, interessandosi della mera liquidazione dei beni ricompresi nella massa fallimentare. Di contro, l’amministratore giudiziario interviene in esecuzione di un decreto di sequestro disposto dal Tribunale al fine di gestire in modo dinamico il patrimonio sequestrato, mantenendone o aumentandone il valore. Egli deve provare a mantenere sul mercato le aziende, una volta ”messe in legalità” con delicate operazioni societarie e finanziarie; esaminare la documentazione societaria verificandone la correttezza; verificare la natura e le condizioni dei singoli beni in sequestro; assicurare la redditività degli immobili; procedere allo sgombero di quelli occupati senza titolo; valutare la possibile assegnazione per fini pubblici degli immobili in sequestro; individuare ulteriori beni da sequestrare. Solo in casi eccezionali, che non rappresentano la regola, quando ad esempio l’attività aziendale non è utilmente proseguibile, si può procedere alla liquidazione nell’ambito del procedimento di prevenzione. In definitiva, mentre il curatore fallimentare si limita ad una semplice opera di liquidazione di beni di una impresa decotta, dichiarata fallita dal Tribunale, l’amministratore giudiziario deve intervenire immettendosi in possesso di beni sottratti, a sorpresa e spesso anche con la forza, al soggetto sottoposto alla misura di prevenzione (spesso appartenente alla criminalità organizzata, con rischi fisici che difficilmente possono occorrere a un curatore fallimentare) e deve poi gestire questi beni, assumendo decisione strategiche tipiche del top management, quali, ad esempio, quelle afferenti le problematiche organizzative, patrimoniali, finanziarie, commerciali, occupazionali, assumendo in prima persona i rischi correlati a tali scelte, spesso in contrasto con i soggetti proposti e/o i loro familiari.

Il suo rapporto con la casa editrice Ad Maiora

Il rapporto con l’editore è sempre eccellente. Sono anni che pubblichiamo opere importanti. La casa editrice è all’avanguardia nel comprendere il mutamento del mercato e adotta modalità di distribuzione innovative. I miei complimenti a Giuseppe Pierro e a tutto il suo staff.

 

martedì 31 Maggio 2022

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