Spettacolo

#iolavoroconlamusica, Antonio Porcelli: “Il problema alla base: bisogna fare cultura, non comprarla”

Donato De Ceglie
Antonio Porcelli
Abbiamo ascoltato il parere di un tranese che con la musica è riuscito a raggiungere vette altissime, una carriere al fianco di Caparezza sin dagli esordi, oggi Antonio è un sound engineer FOH con un'esperienza ventennale
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Parlare del mondo della musica non è semplice, per attraversarlo in tutte le sue sfaccettature bisognerebbe fare un viaggio tra i cavi che legano un palco al backstage, intercettare i volti di chi attende di smontare tutto per trasportarlo su un altro parco ad oltre trecento chilometri di distanza. Bisognerebbe ascoltare le voci dei tecnici, dei trasportatori, di tutte quelle figure di cui mai si parla. Per il nostro speciale #iolavoroconlamusica abbiamo ascoltato Antonio Porcelli, tranese doc, oggi sound engineer FOH, lavora nel settore da oltre 20 anni, al fianco di Caparezza sin dagli esordi.

“Ho scelto di non partecipare a questa iniziativa, non la ritengo opportuna per una serie di motivazioni”, dice Antonio. Una carriera “ignorata” nella sua città d’origine ma probabilmente una delle più attive nel campo. “Il settore concerti non è in crisi, il problema musica non risiede lì. Uno dei grandi problemi del mondo della musica è l’inserimento nel mercato delle multinazionali del ticketing. Le vendite dei biglietti oggi sono totalmente online quindi tu compri un biglietto ma in realtà stai comprando una prevendita, un prestito che fai ad un’agenzia in maniera preventiva. Tutti i biglietti dei concerti bloccati in questo periodo causa Coronavirus, sono stati stati incassati abbondantemente dalle multinazionali ma i manovali della musica non li vedranno mai. Dovremmo iniziare a parlare del sistema che colpisce questa tipologia di professionisti, di tecnici. Orari di lavoro massacranti, a volte con back to back repentini, dopo decine di ore di lavoro ti ritrovi a rifare un turno identico a distanza di chilometri di strada. E non sono neanche assunti spesso”, dice Antonio.

“Se vogliamo cambiare qualcosa dovremmo iniziare dal piccolo, dalle nostre realtà cittadine. La musica è un lavoro, per tanti capisco possa sembrare un gioco, ma la musica è un lavoro ed è un lavoro che produce cultura se fatta in una certa maniera. I comuni, cito Trani perché è la mia città dovrebbero rinunciare ai grandi concerti o solo a quelli: perché non iniziamo a pensare al valore che potrebbero produrre tanti piccoli concerti? Dovremmo iniziare a produrre cultura, non comprarla. Una città come la nostra dovrebbe creare occasione per far nascere nuovi musicisti, non solo sperare di vedere lo spettacolo del grande musicista in uno spazio della nostra città. Se vogliamo cambiare il mondo della musica dovrebbero essere messe in pratica azioni che aiutino i giovani musicisti”.

Oggi Antonio si dice deluso, in un certo senso, dal mondo della musica. “Sono convinto che quel cartello non potrà cambiare nulla, sai cosa mi auguro? Che ci sia uno sciopero dei tecnici, cinque minuti prima di un concerto. E non solo in un concerto ma in più concerti. Solo così si aprirebbe una crisi vera”. Nei dintorni ci sono realtà che offrono occasioni di crescita per le realtà musicali locali, dalla Cittadella degli artisti a Molfetta al Mat a Terlizzi, “Io ho avuto la fortuna di lavorare per tanti anni nel settore, ho lavorato con Caparezza dagli esordi, il suo progetto è esploso ma è partito da qui. Mi auguro che i comuni investano sugli artisti del loro territorio. Non importa se piacciano o non piacciano, se non crei un palcoscenico per i ragazzi, non stai facendo cultura. Devi porre le basi oggi per permettere a qualcuno di crescere, se riuscirai a farlo stai facendo qualcosa di buono per la cultura e forse per l’intero settore della musica”.

sabato 20 Giugno 2020

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