La malacrianzê
I detti popolari

Addavairê?! (DVE 2.0): “La chembedenzê portê la malacrïanzê“

Sarah Avveniente
Sarah Avveniente
Se è vero che “uomo avvisato mezzo salvato”, allora i detti popolari possono salvarci la vita. Ad esempio, “la chembedenzê portê la malacrïanzê” ci avverte che l’eccessiva confidenza può essere deleteria e che, in ogni occasione, non deve mancare la “crïanzê”, altra parola ereditata dal latino.
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Prima o poi ce ne si rende conto: dai detti popolari non si sfugge. Sono cugini di sangue degli oracoli del mondo ellenico, “autorità” infallibili, dispensatori di consigli profetici. Riassumono in poche parole situazioni o pensieri che – alla storta o alla dritta e presto o tardi – sono condivisi da tutti perché, in fondo, non sono altro che la “morale” di esperienze di vita vera, trita e ritrita, di meccanismi sociali dai quali difficilmente si scampa. Ci vengono ripetuti sin da piccoli perché, se è vero che “uomo avvisato mezzo salvato”, possono, in qualche modo, prepararci alla vita. Forse, però, iniziamo a riempirli di un reale significato solo dopo aver fatto il contrario di quello che prescrivono, dopo averci – per così dire –  sbattuto la testa. 

Ad esempio “la chembedenzê portê la malacrïanzê” è un bel monito. Ci avvisa che la maggiore causa di dissapori nei rapporti umani è proprio l’ eccessiva confidenza, quella che ci legittima ad abbattere ogni barriera o filtro, quella che ci rende tanto liberi da dimenticare di ponderare gli atteggiamenti, le parole o i gesti. Ma più che invitarci a non stringere rapporti fraterni, probabilmente ci insegna che sentirsi a proprio agio con qualcuno ed essere se stessi a l00%, non significa per forza dimenticare l’empatia, il rispetto e la delicatezza. 

In sostanza, ciò che non deve proprio mancare è la “crïanzê” (quella buona, si intende). Questo termine – superfluo a dirsi – è sinonimo di educazione ed è una di quelle parole ereditate dalla lingua madre.  Creantia”, infatti, in latino è il participio presente del verbo “creare” e significa “cose che fanno crescere”. Non a caso senza una guida, senza un bagaglio di valori e comportamenti adeguati da seguire, senza una buona educazione (lat. e-ducere = condurre fuori), verrebbe fuori il peggio di noi e cresceremmo “scrianzatê”.

Invece, è importante fare nostra la “buonacrianzê” già da “criateurê”. Qui il gioco di assonanze è palese e la radice etimologica dei due termini è la stessa, quasi come se fossero legati da un filo rosso – invisibile per certi versi – lo stesso che lega questi termini dialettali ad un altro, ben più distante. Si tratta del verbo spagnolo “criar” che significa “allevare, crescere, educare, coltivare”. Ma la cosa non può sorprenderci più di tanto se pensiamo che lo spagnolo e l’italiano (dialetti compresi) siano lingue sorelle, entrambe romanze o neolatine, con lo stesso corredo genetico. 

Da bambini, dunque, o meglio da “criateurê”, l’auspicio è che si cresca “accrianzatê” e – perché no – anche quanto più “crieusê” (carini/graziosi)  possibile. 

Per essere tali non guasterebbe seguire qualche norma racchiusa nel celebre manuale cinquecentesco che prende il nome dal vescovo cui è dedicato (Galeazzo Florimonte, latinizzato in Galatheus), ma soprattutto non bisogna dimenticare la gentilezza e l’insieme di norme e di valori che favoriscono una buona convivenza nella società. E se la “chembedenzê” induce a dimenticare queste regole essenziali, beh allora è meglio tenersela stretta. 

mercoledì 31 Gennaio 2024

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franco
franco
3 mesi fa

ma anche la “chembedenze iaaie asse'” che apostrofa qualcuno che si prende il dito con tutta la mano…..