Il detto popolare

À da sceœie scàlzê a Chêlònnê: storia e origini del detto popolare

Sarah Avveniente
Sarah Avveniente
Trani - Lido di Colonna
I modi di dire celano sempre frammenti di realtà ed allora, per comprendere a fondo quest’ultimo, bisogna fare svariati passi indietro per approdare nei primi anni del ‘900, quando il piazzale di Santa Maria di Colonna non era che un luogo fuori mano, difficile da raggiungere
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Alle sorgenti dell’Acqua di Cristo: un gruppo di signori e signore con ombrelli si avvicinano al luogo per bere l’acqua miracolosa. Fino al monastero, sulla litoranea, si nota una sola costruzione
Alle sorgenti dell’Acqua di Cristo: un gruppo di signori e signore con ombrelli si avvicinano al luogo per bere l’acqua miracolosa. Fino al monastero, sulla litoranea, si nota una sola costruzione

A Colonna ci arriviamo tutti agevolmente e di frequente – specie con la bella stagione – chi per un tuffo, chi per raggiungere i locali sul mare, chi per passeggiare e schiarirsi le idee. Non è certo un’impresa. Diverso sarebbe, per prendere alla lettera una dei proverbi tranesi più famosi, giungerci scalzi (e per giunta con questo caldo).

“À da sceœie scàlzê a Chêlònnê”: ogni tranese se l’è sentito dire almeno una volta. Forse dalla mamma dopo aver fatto una richiesta sopra le righe e difficile da realizzare, o dalla nonna dopo aver ottenuto qualcosa che sembrava impossibile anche solo a pensarla e che soltanto una grazia divina avrebbe reso “abbordabile”.

I modi di dire celano sempre frammenti di realtà ed allora, per comprendere a fondo quest’ultimo, bisogna fare svariati passi indietro per approdare nei primi anni del ‘900, quando il piazzale di Santa Maria di Colonna non era che un luogo fuori mano, difficile da raggiungere.

La percezione della città, poi, era molto diversa e – per così dire – ristretta rispetto a quella che abbiamo attualmente: lo stesso lungomare – oggi arteria viva e pulsante – era una strada sconnessa e sferrata lungo la quale la costa spesso franava e gli alberi piantati sul limite andavano perduti.

Bisognerà aspettare il 1952 per vedere il primo tratto di costa consolidato ed il 1960 per un ulteriore impulso di opere atte al consolidamento del resto della litoranea, che andrà avanti per circa vent’anni. Così, attraverso l’arretramento di fabbricati, l’eliminazione di strettoie, la creazione di un’ampia carreggiata asfaltata, di marciapiedi con aiuole e di una nuova illuminazione, la strada intitolata al navigatore genovese Cristoforo Colombo ha, pian piano, assunto le sembianze attuali. Con il passare degli anni, poi, quella che era una zona  incontaminata è stata invasa dal cemento: si sono intensificate le costruzioni di palazzi (tutt’oggi in continua espansione) e sono stati aperti ristoranti, pizzerie, esercizi commerciali e chioschi-bar. Ciò ha reso la zona sempre più frequentata, Colonna “più vicina” e la passeggiata per raggiungerla sicuramente più piacevole (perlomeno con delle scarpe comode).

Se volessimo descrivere le tappe della traversata verso Colonna, non potremmo fare a meno di citare il caso delle sorgenti dell’Acqua di Cristo. Proprio a metà percorso della litoranea, all’altezza di via Pola, sotto la piattaforma dove prima sorgeva il ristorante lo Scoglio di Frisio, si dice che dal sottosuolo sgorgasse un’acqua amarognola e medicamentosa. Lo storico Salvatore Capozzi, nel suo libro Guida di Trani, edito nel 1915, scrive che fosse efficace per curare la rogna, le piaghe, la febbre malarica ed anche la stitichezza. Nel 1841 pare che il dottor Luigi Ventura avesse esaminato l’acqua salmastra per verificarne le sue qualità organolettiche e, più tardi, fece lo stesso anche un certo prof. Galileo Pallotta da Cerignola. Sebbene l’utilizzo della stessa non sia mai stato autorizzato, molte persone hanno continuato a credere nel potere miracoloso dell’acqua, utilizzandola: erano altri tempi… e poi, si sa, a volte la suggestione funziona meglio di qualunque medicina.

Ma continuiamo la nostra passeggiata. Superata la zona della Villa Miramare, demolita dopo gli anni ‘60,  dopo alcune decine di metri, si scende su un’altra scogliera denominata “Grotta azzurra” dove negli anni ‘30  funzionava ancora uno dei trabucchi della nostra costa, perduto durante una mareggiata. Più avanti, sorge la “Cappelletta”, un’edicola costruita in ricordo del miracoloso evento del 3 maggio 1480 quando fu ritrovato lì sotto, sulla riva, il SS. Crocifisso profanato dai turchi nel convento di Colonna. Quest’ultimo, sito sull’estremità della penisoletta di Capo Colonna, segna la fine del lungomare (assieme alla spiaggia sabbiosa omonima). A quanto pare, al contrario della litoranea in questione, andatasi definendo durante il secolo scorso, la chiesa ed il monastero sono sempre esistiti tanto da essere nominati per la prima volta già in documenti del 1104. La loro fondazione è attribuita al nobile normanno di Trani Goffredo Siniscalco. La storia del monastero di Colonna è strettamente legata a quella del prezioso Crocifisso (forse del ‘400) venerato per l’evento miracoloso sopracitato. Nonostante l’episodio leggendario sia molto noto e celebrato ogni 3 maggio, non è mai superfluo ricordarlo. Era il 1480 quando, in uno degli assalti dei pirati turchi, con a capo un tale Dulcigno, venne messo a ferro e fuoco il Convento e strappato dall’altare il Crocifisso. Si dice, però, che, calato improvvisamente il vento, la nave nemica con a bordo l’immagine sacra, non riuscisse proprio a prendere il largo. Allora, il Saraceno (così era chiamato Dulcigno), accecato dall’ira, sguainò la spada e sferrò un colpo sul crocifisso tanto forte da far venire via il naso di netto. Si dice, allora, che la statua iniziò miracolosamente a sanguinare e venne gettata giù dalla nave che, finalmente, potè ripartire. Proprio lì dove fu ritrovato il Crocifisso, sorge, come detto, una Cappelletta e ancora oggi, dopo circa 600 anni, la processione di barche ad inizio maggio rievoca l’accaduto trasportando la Sacra Immagine, da Colonna al porto. Dopo qualche giorno di venerazione presso la Cattedrale o altra chiesa designata, il SS Crocifisso viene riportato al monastero con grande partecipazione del popolo.

Ed infine, per ritornare al detto, che profuma di saggezza popolare, la passeggiata dal centro cittadino a Colonna in passato – più di adesso – doveva essere una vera e propria prova fisica o meglio una sorta di penitenza, se compiuta a piedi nudi sul sentiero sferrato e privo di asfalto. Perché per ottener ciò che si vuole non basta chiudere gli occhi e desiderare, il più delle volte solo la fatica ed il sudore ripagano e ci consegnano un pass fresco fresco per i grandi risultati. Chiediamoci allora se saremmo disposti ad andarci davvero “scalzi a Colonna sulla brecciolina”: beh per quelle rare cose, solo per quelle, vale la pena insistere.

domenica 23 Luglio 2023

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franco
franco
9 mesi fa

scalzi no di certo almeno essere santificati…ma tutti dovremmo partecipare a questo antico proverbio tranese e magari con l’intento più concreto di avere con noi un pochino di FEDE di qualunque religione sia chiaro ma la fede riempie gli animi di pace.-