L’evento

“E io avrò cura di te”: poesia, beneficenza, gatti e gattari. Andrew Faber presenta il suo ultimo libro

Sarah Avveniente
Sarah Avveniente
La dott.ssa Emanuela Caló e il poeta Andrew Faber. Fa da sfondo l’opera della pittrice Silvia Tolomeo
“La somma ricavata durante l’incontro letterario tenutosi lo scorso sabato, presso l’Info Point, sarà interamente devoluta all’OIPA. L’obiettivo è quello di prendersi cura dei gatti randagi del territorio”. Il libro presentato è un viaggio poetico verso la felicità, ma inizia con il buio
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Poesia e gatti. Combo insolita? Beh a pensarci bene neanche troppo. 

“Un cane è prosa, un gatto è poesia” scriveva qualcuno. E quanti gattari o gattofili sono presenti nel panorama letterario? Petrarca, Baudelaire, Neruda, T. S. Eliot, Hemingway, per citarne alcuni. Tutti nomi altisonanti che hanno dedicato alcuni versi ai loro amici felini. 

Anche Andrew Faber, protagonista dell’incontro tenutosi a Trani sabato 12 Novembre, presso l’Info Point Turistico Comunale, si è orgogliosamente definito gattaro. 

«Dicesi “gattaro” – spiega il poeta – colui il quale va in giro producendo versi onomatopeici per attirare l’attenzione degli eventuali gatti presenti in zona, anche se magari non se ne vedono all’orizzonte. O ancora, colui il quale porta con sé una scorta di croccantini o che cerca di capire dove si dirigano i mici che incontra per assicurarsi che abbiano un posto dove tornare e rintanarsi. In sostanza i gattari si prendono cura dei gatti randagi».
Ed il medesimo fine ha animato la presentazione dell’ultimo libro di Faber. Durante l’incontro letterario, infatti, è stata raccolta una discreta somma di denaro da destinare interamente ai randagi del territorio. 

L’idea dell’evento “ed io avrò cura di te” è nata in seguito alla conoscenza fortuita tra Faber e la dottoressa Emanuela Calò, veterinaria (Ambulatorio Veterinario Trani) e presidente della Società Italiana di Medicina Felina. «Conosco Andrea grazie ad una poesia che ha scritto su un gatto. Mi ha colpito molto, così l’ho contatto su Facebook» spiega la dottoressa. «Sono ormai tre anni che cerchiamo di organizzare un evento simile ma, tra Covid ed altri impegni, non è stato facile. Oggi finalmente ci siamo riusciti. A tal proposito, è doveroso ringraziare la Pro Loco che ha regalato la location e il b&b Casabera che ha ospitato il nostro autore gratuitamente. In questo modo sarà possibile devolvere l’intera somma ricavata all’’OIPA (Organizzazione Internazionale Protezione Animali)».

«Un’atmosfera magica, permeata di interesse e curiosità» – per usare le parole di uno degli spettatori  – quella creata da Andrew Faber, il quale ha accompagnato i presenti dritti dritti nelle viscere dei suoi versi o delle sue emozioni, che fa lo stesso, destando la commozione di molti. Hanno fatto da cornice le tre opere, ritraenti gatti, della pittrice Silvia Tolomeo. 

Che all’anagrafe si chiami Andrea Zorretta, l’ha detto solo alla fine. Romano, 44 anni. Si è presentato più o meno così: «Anche se mi duole dirlo non scrivo poesie da sempre. Ma è grazie alla poesia se sono ancora vivo […] Tra le tante cose sono stato anche un pugile e prima ancora un motociclista. Ho rischiato di ammazzarmi un numero considerevole di volte. La prima appena nato. Emorragia cerebrale, ittero, incubatrice […] Sono dotato di eccessivo garbo e proverbiale pazienza. Faccio un’amatriciana da paura. Anche con il tiramisù non vado da schifo […] Posseggo una valvola aorta bicuspide ed un cuore aritmico che batte come cazzo gli pare e piace. Il primo giorno che entrai dallo psicologo, mi disse “parlate uno per volta” […] Quando chiudo gli occhi succede un finimondo. Mi governa da sempre uno strano senso di inquietudine. Sono un uomo che ama e, per questo, fragile, folle e infinito». 

Il suo libro, intitolato “Ti passo a perdere”, è un viaggio poetico verso la felicità. Ma inizia con il buio. Ed è proprio in una notte buia che esplode dentro Andrea quel “terremoto privato con epicentro altezza cuore”, quel “mostro interiore” chiamato anche ansia, paura, panico che crea zone d’ombra nella vita, la sua distorce e non permette alla luce di entrare.

E allora che fare? I versi di Faber parlano chiaro e forse possono essere riassunti in questo modo: quel buio bisogna attraversarlo con coraggio e a denti stretti, aspettando che il sole riprenda a brillare. Bisogna credere nella poesia che è spietata. Sa sempre dove andare a colpire. Bisogna fermarsi ogni tanto, o almeno rallentare. Andarsene in giro con l’anima spettinata e passeggiarsi dentro. Ascoltarsi e ascoltare quel mostro, perché il massimo che potrà succedere sarà capire chi siamo. Magari ci scopriremo fragili, perché un po’ lo siamo tutti. Ma quella fragilità va accettata perché conserva tanta bellezza e, se mostrata alle persone giuste, diventa poesia. Solo così, spente le luci, si riesce piano piano a ritrovare la luce. 

 «Non avrei mai pensato di dover ringraziare quel momento di buio» commenta il poeta «Mi ha portato ad iniziare la storia d’amore più bella che abbia mai vissuto: quella con me stesso. E non solo. Da quel momento ho capito che la salvezza può arrivare sotto varie forme. Può anche avere quattro zampe, una coda, due occhioni e fare tante fusa. Proprio mentre affrontavo questa condizione particolare dell’anima, infatti, ho avuto l’onore di accudire e “custodire” il mio primo gatto, Occhione (il gatto nero che, silenzioso, osserva i due personaggi disegnati da Giulia Angelini in copertina). Anche di lui mi sono innamorato, forse troppo tardi, ma in modo potente, puro, incondizionato, randagio. Quando poi mi ha lasciato, ho sofferto un dolore autentico e cieco. Così, ho provato a ringraziarlo nel modo migliore che io conosca: attraverso la  poesia. L’ho scritta quando mi sono sentito pronto e l’ho intitolata “Che ne sai dell’amore, se non hai mai amato un gatto”». 

«In fondo, già prima di conoscere Occhione, paragonavo l’amore “ad un micio che ovunque trova spazio per resistere, ti sale sulla pancia e poi si fa ciambella”» conclude Faber. 

Ma salvezza è anche perdersi. Che non è per forza da leggersi con un’accezione negativa. Anzi, certe volte è proprio necessario. “Perdersi in nuove persone, in altri luoghi, dentro nuovi viaggi. Perché la vita passi e non ci trovi lì, fermi, ad aspettarla. Per ricominciare bisogna perdere la strada del ritorno. Per diventare persone nuove bisogna rischiare. Rompersi e rinascere. Prendere coraggio e fare quella cosa che ci terrorizza, quella cosa che non avremmo fatto mai”. 

Altre volte salvezza significa semplicemente idratarsi, fermarsi a bere un bicchiere d’acqua «perché, – racconta Andrea – come una volta ha sottolineato la mia terapista, non si è mai visto qualcuno morire mentre sorseggia dell’acqua». O ancora – ma solo in casi estremi – salvezza è dire “un bel vaffanculo con il cuore”. 

lunedì 14 Novembre 2022

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